“Non dovresti curare gli occhi senza curare la testa o la testa senza curare il corpo. Così anche non dovresti curare il corpo senza curare l’anima. Questo è il motivo per cui la cura di molte malattie è sconosciuta ai medici, perché sono ignoranti nei confronti del TUTTO che anch’esso dovrebbe essere studiato, dal momento che una parte specifica del corpo non potrà star bene a meno che non stia bene il TUTTO.” (Carmide, 156 e segg.)
PLATONE (428-348 A.C.)
Quale medicina?
La Medicina non convenzionale è spesso accusata di “sottrarre” ingannevolmente i pazienti ai benefici sempre certi e comprovati delle terapie mediche ufficiali.
In realtà, la Medicina ufficiale e quella non convenzionale (che sarebbe più adeguato chiamare Medicina complementare) dovrebbero essere concepite come due dimensioni di conoscenza e pratica ugualmente e comunemente necessarie nella gestione di uno stato di malattia o sofferenza. Aprirsi a questo nuovo orizzonte di pensiero permette sia di fornire un’assistenza medica globale alla persona, sia di fondare una seria Medicina preventiva.
La salute e la persona globale
Ritmi di vita frenetici, i rischi legati all’inquinamento di aria e acqua, l’attenzione per le sostanze nocive contenute in certi alimenti, hanno portato a guardare sempre più alla salute come a un valore assoluto, a una condizione da ricercare e tutelare.
Ma quando si parla di salute, si fa quasi sempre riferimento alla “semplice” assenza di sintomi, e non piuttosto a una condizione di totale benessere della persona guardata nella sua interezza.
Di conseguenza, se la salute corrisponde all’assenza di sintomi, allora i sintomi ne rappresentano la principale minaccia, da combattere e sconfiggere. In questa prospettiva, per ogni sintomo si cerca il farmaco più adatto a contrastarlo rapidamente, intervenendo, per così dire, soltanto sulla facciata, ignorando il grido spesso drammatico che ogni essere umano esprime attraverso la malattia, il dolore e il disagio.
I limiti di questo tipo di azione risultano ancora più evidenti quando si affrontano le problematiche portate allo scoperto dalla patologia prevalentemente psichica.
La Medicina ufficiale ha impostato il suo sapere in modo sempre più settoriale e, focalizzandosi essenzialmente sull’organo malato, ha progressivamente perso di vista l’integrità del suo oggetto-soggetto.
Questo atteggiamento trasforma la persona nel mero luogo fisico dello scontro tra l’operatore sanitario e la malattia, per giunta privandola del suo ruolo attivo nel complesso della pratica medica che la riguarda. .
Questa Medicina è figlia dell’attuale cultura dominante, da cui è alimentata con grande cura, in un contesto che vede due vincitori: l’illusione del potere fornita dalla conoscenza tecnica settoriale e l’economia legata al farmaco o alle strumentazioni specialistiche.
C’è però un crescente scontento verso la Medicina, tra gli stessi operatori sanitari, ma soprattutto in una larga fascia degli utenti. L’insoddisfazione di questi ultimi non è dovuta solamente agli episodi di malasanità o all’eventuale scarsa cortesia usata da medici e infermieri. È invece il segnale, a mio parere, di uno squilibrio più profondo, che è implicito nella stessa impostazione della Medicina moderna.
Il ricorso in aumento alle terapie non convenzionali rappresenta ed esprime il bisogno e la ricerca di soluzioni sempre più adeguate e soddisfacenti, per rispondere alle plurali esigenze di salute da parte di ogni singola persona.
Un nuovo sguardo su salute e malattia
Venticinque anni fa ho intrapreso un percorso di approfondimento delle principali terapie non convenzionali, rimanendo a lungo a contatto con la pratica della medicina di base, perché ero affascinato dalla possibilità di dare concretezza a una mia ipotesi.
E cioè che alla Medicina ufficiale occorresse una rivoluzione radicale per spostare lo sguardo dal suo sapere e dalle sue strumentazioni tecniche all’irriducibilità della singola persona, e così partire dalla persona, nella sua specifica complessità, e dalle sue esigenze più vere per modellare, assemblare e trasformare le sue conoscenze e tecnologie.
Ero convinto che una simile impostazione, per avere una sua dignità e non restare una mera ambizione, dovesse basarsi su uno sguardo diverso e darsi necessariamente anche gli strumenti adeguati.
Ho così intrapreso un cammino di studio nel campo della medicina non convenzionale e, dopo oltre venticinque annidi assidua pratica clinica, ricerca e insegnamento in scuole libere per medici e terapisti, mi permetto di proporre alcune conclusioni.
Sul funzionamento delle terapie non convenzionali e ufficiali
Il successo delle medicine non convenzionali non è dovuto principalmente al fatto di essere, secondo la definizione data da qualcuno, un po’ più morbide e più dolci, ma piuttosto perché tentano di affrontare la questione della salute e della malattia da prospettive più ampie rispetto a quelle tipiche della Medicina ufficiale.
Con un’espressione sintetica e perciò sicuramente incompleta, si potrebbe dire che, in generale, le medicine non convenzionali tendono a far leva su meccanismi vitali della persona, sbloccandoli, favorendoli ed esaltandoli.
La Medicina ufficiale, invece, si focalizza sulla soppressione e sul controllo di questi meccanismi. Lo dimostra bene il fatto che la denominazione della maggior parte dei farmaci chimici moderni inizi con il prefisso “anti”: antiinfiammatori, antibiotici, antipiretici ecc.
Non è qui in questione il valore delle conoscenze e delle complesse strumentazioni di cui si è dotata la Medicina ufficiale, le quali a mio parere la rendono assolutamente vincente almeno sul campo della medicina d’urgenza. Vorrei piuttosto portare l’attenzione su alcune considerazioni generali al riguardo.
Anche nelle Facoltà di Medicina si insegna che l’infiammazione e la febbre sono dei meccanismi di difesa, che il dolore è un segnale d’allarme e che, in generale, il sintomo rimanda sempre ad altro.
– Allora, perché non provare ad ascoltare e a favorire ciò che di buono l’organismo sta già mettendo in atto attraverso la sua sintomatologia?
– E, pur ricorrendo al prodotto chimico quando sia veramente necessario, perché non dovrebbe esistere una Medicina biologica, come esiste un’agricoltura biologica che punta sull’esaltazione dei meccanismi naturali di difesa delle piante?
– Come potrebbe svilupparsi una seria Medicina preventiva se, impiegando i metodi ufficiali, si è in grado di riconoscere un problema di salute soltanto quando vi siano evidenti segni clinici, quasi sempre di tipo organico?
L’efficacia di un tipo di terapia non può essere valutata soltanto sui risultati immediati, ma anche su quelli a distanza.
Ci si può infatti chiedere quale reale guadagno si ottenga quando, nell’intento di cancellare velocemente un sintomo, si apre poi la strada all’insorgenza di altre problematiche,a volte di maggiore gravità
La questione centrale non è arroccarsi sull’una o sull’altra posizione, ma prendere in seria considerazione la possibilità di integrare tutti gli strumenti e le conoscenze che risultino utili a mantenere o ripristinare un’autentica condizione di salute complessiva, senza pregiudizi.
Il rapporto tra la Medicina ufficiale e le terapie non convenzionali
Guardando a un passato anche piuttosto recente, si nota che, mentre alcune tecniche curative sono state inserite nel bagaglio operativo del medico moderno, tante altre sono state invece “escluse” e “censurate” senza motivazioni convincenti. Mi riferisco a metodiche di tipo riflessoterapico, nutritivo, fisioterapico, relazionale, manipolativo, e altro ancora.
Oggi, ciò nonostante, assistiamo al ritorno in auge di tali tecniche, poiché circa il 30% della popolazione ricorre alle medicine non convenzionali.
Questo è un dato significativo perché plausibilmente, questa consistente percentuali di utenti della medicina non convenzionale non sosterrebbe l’investimento in termini economici e di impegno personale senza vedere dei risultati positivi e tangibili.
Per impattare la questione delle terapie non convenzionali è sufficiente iniziare dal campo alimentare e da quello psicologico.
Oggi sono ben noti a tutti gli effetti positivi di un’alimentazione sana sulla salute, e viceversa i rischi connessi a un regime alimentare non equilibrato.
Tuttavia, si esce normalmente dalla facoltà di Medicina senza una conoscenza approfondita sull’alimentazione. Con l’eccezione della figura del dietologo, il medico nel suo lavoro quotidiano è costretto a lasciar da parte la questione alimentare.
Allo stesso modo, oggi nessuno nega più l’esistenza delle malattie psicosomatiche, tanto che qualcuno è arrivato a chiedersi se esistano malattie che non siano psicosomatiche, visto che il corpo e la psiche formano un insieme inscindibile.
Eppure oggi si esce dalla facoltà di Medicina senza possedere valide nozioni di psicologia, con il risultato che il medico, all’occorrenza, deve fare affidamento unicamente su proprio “buonsenso”.
Ma allora qual è la vera funzione del medico?
Quella di semplice dispensatore di farmaci?
O quella di costituire la figura centrale del mondo sanitario, con la capacità di accogliere in modo completo la domanda di salute del paziente?
In definitiva, la prima domanda da porsi non è tanto se tutte le terapie non convenzionali siano sempre efficaci, ma piuttosto perché tante valide conoscenze e strumenti realmente utili siano di fatto esclusi dalla pratica medica quotidiana.
Valutare l’efficacia delle medicine non convenzionali
Nella mia lunga esperienza professionale nel campo della medicina non convenzionale, ho avuto dimostrazione dell’efficacia clinica di queste terapie nella gestione e nel trattamento non solo di problemi di salute di lieve entità, ma anche di quadri patologici gravi, documentati da esami strumentali.
E questo dato è confermato anche dai colleghi con i quali mi confronto, che sono perlopiù medici regolarmente laureati e abilitati alla professione, in possesso di varie specializzazioni, che affrontano la realtà concreta, a volte molto dura, della malattia e del dolore cercando le soluzioni più adeguate.
Dal punto di vista della scienza ufficiale, si potrebbe pensare che basti una giusta “sperimentazione” per stabilire in via definitiva se le pretese di efficacia delle terapie non convenzionali siano fondate o no.
Tuttavia, la questione non è così semplice, perché la quasi totalità delle metodiche non convenzionali si basa su meccanismi personalizzati e difficilmente omologabili.
Per esempio, il metodo di verifica detto in “doppio cieco”, l’unico accettato a tutti gli effetti dalla scienza medica ufficiale, può essere impiegato correttamente solo scomponendo le parti, isolando una funzione, focalizzandosi su un preciso sintomo e utilizzando per tutti i casi lo stesso rimedio.
Per questo, è molto difficile valutare in “doppio cieco” l’efficacia di un trattamento di agopuntura, di un rimedio omeopatico, di una seduta di kinesiologia applicata o di un percorso di psicoterapia, poiché tutte queste pratiche hanno un’impostazione globale e personalizzata.
Inoltre, spesso, il risultato ottenuto in un caso clinico, scaturisce dall’impiego combinato di diversi metodi e rimedi, assemblati in modo unico e personalizzato per rispondere a quella singola e irripetibile situazione, all’interno di un percorso terapeutico complesso che non può essere valutato secondo le prassi “scientifiche” di verifica descritte sopra.
Nel campo delle Medicine non convenzionali esiste una ricca bibliografia che riporta i risultati positivi di studi, ricerche ed esperimenti , ma purtroppo non viene presa in seria considerazione.
È giusto che, in ambito medico, qualsiasi intuizione o teoria sia sottoposta alla prova dei fatti per dimostrare la sua fondatezza, ma è scorretto ritenere che esista un soggetto neutrale in possesso di un metodo universalmente valido per arrogarsi il diritto esclusivo su tale giudizio.
È chiaro che lo Stato debba garantire che nessuna terapia arrechi un chiaro danno alla persona e che non si spacci per medico chi non lo è, ma pretendere che un organismo ufficiale, che subisce innumerevoli condizionamenti di tipo politico, economico e culturale, possa porsi come arbitro assoluto e imparziale, giudicando in breve tempo realtà e dinamiche terapeutiche che hanno spesso alle spalle tradizioni secolari, è fuorviante.
Al riguardo, riporto un semplice esempio.
Se nella mia pratica clinica curo un bambino debilitato, immunodepresso, bombardato da anni con antibiotici e lo riporto in un certo lasso di tempo a un livello di salute ben diverso, documentato anche dalla sensibilissima riduzione delle infezioni contratte, tale cambiamento deve poter essere riconosciuto con sicurezza almeno dai genitori, dal bambino stesso e da me che l’ho curato, altrimenti resterebbe una sterile fantasia, ma è forse facile dimostrare “scientificamente” questo semplice fenomeno?
La mia esperienza, unita a quella di altri operatori sanitari e di tanti genitori, mi dimostra che nella maggior parte dei casi non è possibile neanche la semplice comunicazione del risultato ottenuto, ai rappresentati della scienza ufficiale.
Per questi motivi è indispensabile un confronto molto paziente, il superamento di atteggiamenti di chiusura e accettare di ripartire da presupposti nuovi e diversi.
So bene che un singolo caso di guarigione, fosse anche il più eclatante, non è scientificamente indicativo, ma credo che un medico debba “incuriosirsi” positivamente di fronte anche a una sola persona che asserisce di essere guarita da un problema di salute serio, curandosi con metodi non convenzionali.
E bisogna dare importanza all’attenta e prolungata osservazione di certi fenomeni, che prova l’efficacia clinica di terapie non convenzionali.
Personalmente, da più di venticinque anni ne ho dimostrazione nella mia pratica clinica quotidiana.
Ciò che più conta, prima ancora dell’inserimento delle medicine non convenzionali nelle prestazioni del servizio sanitario nazionale, è l’ampia disponibilità di strumenti terapeutici validi per chi voglia curare e farsi curare in modo più umano e globale.
L’effetto placebo
Molto spesso, l’efficacia clinica di molte terapie non convenzionali è attribuita al cosiddetto “effetto placebo”.
Molti risultati positivi, in realtà, non possono essere spiegati in soli termini di effetto placebo, ma laddove questo fenomeno si attivi realmente, ritengo che sarebbe più opportuno valorizzarlo anziché denigrarlo.
Infatti, una persona aiutata ad assumersi la responsabilità della propria salute, che sia in grado di mobilitare le rimanenti energie vitali per mezzo di adeguati rimedi e in un corretto rapporto medico-paziente, è sensibilmente favorita nel suo processo di guarigione, anche in patologie di notevole gravità.
Tutto questo dovrebbe essere preso in considerazione, senza limitarsi a seguire dei semplici e impersonali protocolli terapeutici, come se le medicine fossero dei bulloni e le persone delle macchine.
Un approccio globale
Oggi si sa per certo che psiche e soma sono strettamente collegati e nel campo della salute ogni parte, ogni funzione è collegata con tutte le altre.
Ciò ha considerevoli implicazioni pratiche, tanto da non potersi considerare pienamente corretta la risposta ad una domanda di salute senza che venga considerata tutta la persona.
L’insieme delle tecniche non convenzionali costituisce una risorsa preziosa per dispiegare un approccio globale alla persona e fornisce un ventaglio di modalità di azione utili a realizzare concretamente questo progetto, potendo anche integrarsi con quanto di meglio è offertodalla Medicina ufficiale.
Attualmente, ogni percorso di formazione medica, compreso quello offerto nelle nostre Università, si sforza di trasmettere una conoscenza tendenzialmente globale. In effetti, sembra logico che un medico conosca le principali funzioni fisiologiche umane, anche se non riguardano lo specifico intervento che ne caratterizzala pratica clinica quotidiana.
Il problema è che predomina comunque un approccio organicistico e meccanicistico al corpo e alla salute e malattia, che impedisce di aprire davvero i propri orizzonti alla persona globale
Oggi non si è ancora in grado di riconoscere che un certo tipo di dolore o di disturbo corrisponde perfettamente al percorso di un meridiano di agopuntura. Il medico moderno non conosce i principali punti riflessi dell’organismo che permettono in tanti casi di risolvere in pochi minuti delle condizioni patologiche che si trascinano per mesi o anni. Non possiede gli strumenti per collegare un problema posturale o, per esempio, una lombalgia con un disturbo emotivo o una malocclusione dentale.
Si può continuare a fare l’oculista, il ginecologo o il chirurgo e essere comunque capaci di leggere i diversi problemi di salute in un orizzonte più vasto, da quello segnato dai confini della specializzazione. Un approccio del genere potrebbe permettere al medico di capire a chi indirizzare il paziente o da quale operatore della saluta farsi aiutare, ; perché gli attuali tentativi di integrare a posteriori le varie specialità assomigliano tanto all’impossibile ricomposizione di un puzzle di cui ognuno possiede un suo pezzo, senza sapere come collegarlo con gli altri.
In secondo luogo, il rischio di un atteggiamento onnipotente, coltivato fin troppo, anche se con accenti diversi, sia nel campo medico ufficiale sia in quello non convenzionale, sfumerebbe nel porsi in umile ascolto di fronte all’insormontabile mistero della persona che deborda sempre e comunque sia le nostre conoscenze tecniche, sia le relative risorse terapeutiche.
Anzi è proprio questo che dovrebbe spingerci a non rimanere bloccati sulle nostre consolidate posizioni.
Una proposta
Ciò che può consentire una seria rifondazione della Medicina e una sana trasformazione della figura del medico, non è né la conoscenza nella pratica di una o più tecniche alternative né la totale integrazione di queste con la Medicina ufficiale.
Ciò da cui si può veramente partire è solo una posizione umana diversa. Una posizione dalla quale non si idolatrano la propria immagine, il “potere” del proprio sapere e e degli strumenti relativi. Ma una posizione veramente attenta alla persona e così libera, da sapersi mettere continuamente in discussione ed essere disponibile perciò a usare tutto quanto può favorire il ristabilimento e la tutela della salute senza chiusure o preconcetti.