Omeopatia

Omeopatia

Appunti di omeopatia

La medicina omeopatica si fonda, innanzitutto, su una particolare modalità di considerare l’organismo umano e la realtà della salute e della malattia.
Dalla prospettiva dell’omeopatia, la malattia non è aprioristicamente demonizzata, perché è piuttosto considerata come il tentativo compiuto dall’insieme psicofisico della persona per superare un problema di salute, cioè come un passo importante verso il ristabilimento di una condizione di salute e di equilibrio.
In questa concezione, la febbre, l’infiammazione e il dolore stesso costituiscono, prima di tutto, dei preziosi meccanismi di difesa.
Questa visione non è estranea alle più moderne acquisizioni della fisiopatologia, né in contraddizione con esse, anche se nella pratica corrente è rimossa e censurata.
Chiaramente, la persistenza dei sintomi risulta scomoda e molto spesso inopportuna, pertanto ogni serio sistema terapeutico tenta di superarli o di arginarli.
Il punto fondamentale, nell’ottica dell’omeopatia, è di non considerare i sintomi come il male in se stessi, quanto piuttosto come l’epifenomeno di una lotta portata avanti dall’insieme dei sistemi difensivi organici, al fine di ristabilire un equilibrio psicofisico il più possibile completo e duraturo.
E, se il sintomo è soltanto l’epifenomeno, l’eco, di una lotta sana e positiva che sta avvenendo dentro di noi, perché non tentare di esaltare tale lotta e i meccanismi che la sostengono?
Questo è appunto l’obiettivo che si vuole raggiungere con l’uso dei rimedi omeopatici, che risultano particolarmente utili ed efficaci nel caso di malattie croniche o recidivanti.
Infatti, nell’episodio morboso acuto e grave può essere giustificato o addirittura insostituibile un intervento con i mezzi più moderni della Medicina ufficiale (allopatia), ma in molti altri casi sarebbe invece preferibile l’utilizzo di rimedi naturali, in particolare omeopatici.
Per portare qualche semplice esemplificazione, se in seguito a una caduta una persona riportasse un trauma contusivo grave che potrebbe metterne in pericolo la vita, sarebbe pienamente giustificato il ricorso a terapie d’urgenza, praticate se possibile in reparti ospedalieri specializzati. Allo stesso modo, sarebbe opportuno l’impiego di una terapia antibiotica in caso di gravi infezioni o l’uso del cortisone di fronte a una crisi asmatica soffocante.
L’’omeopatia non è disarmata di fronte alle urgenze o alle malattie gravi, ma mi sembra ragionevole e obiettivo riconoscere alla Medicina allopatica una priorità sul controllo del sintomo acuto.
Esiste però un ampio ventaglio di casi acuti in cui non vi è pericolo immediato per la vita, e una varietà di situazioni patologiche persistenti in cui il disturbo è di origine essenzialmente tossica o degenerativa, in cui l’azione dell’omeopatia può rivelarsi del tutto idonea ed efficace.
Anche in quei quadri di patologia acuta vissuti con intenso disagio come nel caso di nevralgie, cefalee, dolori reumatici, non appare sempre adeguata l’impostazione di un trattamento a base di sostanze chimiche, che inibiscono in modo innaturale i meccanismi fisiologici e accrescono inevitabilmente il carico di tossine.
È chiaro per chiunque, anche ai non addetti ai lavori, che tante infezioni recidivanti, così frequenti specialmente nell’infanzia, non sono primariamente imputabili ai microrganismi presenti sul momento, quanto a un’insufficiente capacità difensiva dell’organismo.
Ma allora perché accanirsi contro il microbo, con dosi massicce e ripetute di antibiotico che deprimono ancora di più le già fragili difese organiche?
Sarebbe invece più opportuno agire piuttosto per esaltare i meccanismi immunitari, permettendo così all’organismo di essere in grado di convivere senza particolari problemi con i tanti microrganismi che fanno parte del nostro ambiente e che sono, per la maggior parte, ospiti abituali delle nostre mucose.
Il radicamento di un simile approccio costituirebbe comunque un’impresa piuttosto ardua perché nonostante la quantità di molecole terapeutiche a nostra disposizione e i tanti farmaci sempre più potenti e reclamizzati, la Medicina allopatica non ha a disposizione quasi nulla che riesca a rinforzare e riequilibrare in modo fisiologico un organismo che stia lottando per recuperare lo stato di salute.
L’allopatia si è costituita essenzialmente come Medicina sintomatica operante con meccanismi opposti al sintomo: antipiretici, antibiotici, antidolore, antiansia, antiacidi, antinfiammatori e così via. In alcuni casi, è una Medicina che diviene sostitutiva: una trasfusione di sangue, un trapianto d’organo o una terapia ormonale in caso di funzione insufficiente a livello ghiandolare.
Quando l’organismo abbia dissipato l’energia necessaria per attivare un’azione difensiva o quando non sia in grado di fronteggiare in tempo una grave situazione, anche le azioni mediche impostate sul concetto dell'”anti” e quelle di tipo sostitutivo possono essere efficaci e opportune.
Ma perché non tentare quasi mai, come mira a fare l’omeopatia, di sostenere, esaltare, stimolare, rafforzare, favorire in modo fisiologico e mirato lo sforzo che l’organismo ha già messo in atto?

Farmaci allopatici e rimedi omeopatici. La questione del dosaggio

È convinzione comune, per quanto riguarda il dosaggio, che i farmaci funzionino sempre con modalità dose-dipendente, ossia che se un grammo di antibiotico funziona al 50%, due grammi funzioneranno all’incirca al 100%.
In parte è così, ma solo entro certi limiti. Non mi riferisco neppure alla questione della dose tossica, perché è evidente a chiunque che dopo un certo numero di grammi di antibiotico non è possibile andare oltre perché si è superata la massima dose tollerabile.
Mi riferisco piuttosto al fatto che in natura il funzionamento delle sostanze attive non è sempre dose-dipendente o, meglio, non è proporzionale alla dose impiegata.
Cerco di spiegarmi con qualche semplice esempio. Se ho intenzione di aprire una porta senza timore di abbatterla, sfondarla o scardinarla, più forza impiego più facilmente ottengo il risultato voluto. Ma se voglio aprire la suddetta porta nel modo più conveniente e fisiologico dovrò semplicemente usare la chiave giusta e una forza proporzionata all’atto da compiere. Allo stesso modo, se voglio che una carezza sia efficace, la forza da impiegare dovrà essere ben dosata e non oltrepassare un certo limite.
A livello biochimico, l’attivazione degli enzimi, questi nostri preziosissimi catalizzatori che rendono possibili le reazioni fisiologiche, richiede la presenza di altre sostanze specifiche, per esempio oligominerali. Queste sostanze devono essere presenti però entro certi limiti, perché al di sotto di una certa concentrazione la reazione non si attiva e al di sopra invece si blocca.
A livello fisiologico tutto procede seguendo un modello di equilibrio.
Le megadosi utilizzate in Medicina allopatica rispondono bene perciò alla necessità di bloccare e inibire le funzioni cellulari in tempi brevi: bloccare l’infiammazione, la febbre, uccidere il microbo, ecc. Ma per stimolare, sostenere, guidare in modo naturale e fisiologico le varie funzioni organiche risultano molto più utili ed efficaci le piccole dosi di sostanze attive.
D’altronde si sa che le sostanze fisiologiche, ormonali e non, agiscono sui recettori cellulari a dosaggi estremamente bassi.
La grande intuizione di Hahnemann, il padre dell’omeopatia, è stata quella di usare piccole dosi di sostanze simili, cioè sostanze che se somministrate a dosaggi elevati nella persona sana produrrebbero lo stesso quadro sintomatologico che si vorrebbe curare.
Perciò, ad esempio, piccole dosi di belladonna possono curare un quadro di cefalea simile a quello che sarebbe provocato dalla somministrazione di dosi più consistenti di questa stessa sostanza nell’individuo sano. Peraltro, non tutte le cefalee reagirebbero in questo modo, ma solo quel tipo particolare di cefalea.
Dunque, come si stabilisce il quadro clinico corrispondente alla belladonna e a ogni altro rimedio?
Lo si fa attraverso i dati tossicologici e soprattutto attraverso quelli derivati dalla sperimentazione accurata e particolareggiata di sostanze specifiche a dosi subtossiche nell’uomo sano.
Parliamo, si veda vede, di sperimentazioni serie e con una lunga tradizione. Nel campo dell’omeopatia sono stati condotti innumerevoli esperimenti nel corso degli ultimi duecento anni, soprattutto in Francia e in Germania dove all’omeopatia è da sempre riconosciuta maggiore dignità che da noi. Inoltre, in oltre due secoli sono state raccolte abbondanti testimonianze di terapie omeopatiche applicate con successi spesso eclatanti. Un esempio storico molto rilevante, è per esempio rappresentato, dai risultati documentati ottenuti in occasione delle epidemie di colera a Napoli nello scorso secolo.
Le sperimentazioni e la registrazione dei risultati positivi ottenuti sono documentati, è bene precisarlo, da migliaia di medici regolarmente laureati e abilitati alla professione.
Non si possono tacere inoltre i successi, che superano addirittura quelli relativi alle terapie umane, ottenuti in campo veterinario, che tendono pertanto a negare la prevalenza dell’effetto “placebo”.
Si potrebbero infine citare anche i promettenti risultati ottenuti con sostanze omeopatiche nel trattamento di colture biologiche.
Tuttavia, questi dati scaturiti da sperimentazione e osservazione degli effetti reali sembrano non bastare ancora alla Medicina accademica.
Per tanti farmacologi “ufficiali” sembra non essere importante comprendere se l’omeopatia funzioni veramente, perché si fermano su un giudizio aprioristico relativo al fatto che questa metodica non possa funzionare, poiché le dosi impiegate sono troppo basse e non si può pertanto ammettere un’azione a livello molecolare.
In omeopatia, diversamente da quanto avviene nella Medicina allopatica, a un sintomo non corrisponde automaticamente un farmaco, perché è necessario “personalizzare” il problema per individuare il giusto rimedio corrispondente. Di conseguenza la sperimentazione classica in “doppio-cieco” risulta molto difficile in questo settore. Ma per la scienza ufficiale l’azione di una sostanza terapeutica è riconosciuta solo se è dimostrata in “doppio-cieco”, e dunque l’omeopatia non funziona.

La scelta del rimedio omeopatico

Per curare un sintomo, per esempio una cefalea, bisogna esplorarne accuratamente tutte le caratteristiche specifiche e peculiari, conferendogli così un volto preciso. Ma per una terapia omeopatica globale e profonda tutto questo non è ancora sufficiente perché si dovrà arrivare a comprendere la tipologia specifica della persona da trattare, cioè l’insieme delle sue reazioni psicofisiche, colte il più possibile in un quadro unitario.
Un altro concetto essenziale e già presente in omeopatia classica, poi ulteriormente approfondito dagli studi omotossicologici, è quello relativo alle tossine.
L’organismo vivente rappresenta un evidente sistema di flusso in cui le sostanze in entrata attraverso il canale alimentare devono essere necessariamente depurate dalla loro tossicità prima di essere assorbite e metabolizzate.
A questa tossicità si aggiunge quella proveniente da una serie di sostanze nocive non alimentari assorbite ogni giorno e da quelle prodotte dal nostro stesso organismo attraverso i normali processi metabolici.
L’eliminazione delle scorie riveste pertanto un ruolo primario tra i meccanismi di mantenimento della vita e non riguarda soltanto le trasformazioni chimiche operate dal fegato e seguite poi dall’espulsione fecale. Al contrario tutte le vie di eliminazione costituiscono una risorsa preziosa per la disintossicazione organica.
Per questo motivo, la sudorazione, il catarro, la lacrimazione, il pus, le mestruazioni, le perdite vaginali, certi eczemi secernenti e altre forme ancora di eliminazione rappresentano delle strategie per tentare di ridurre il carico tossico.
Tutti sanno che quando si consumano cibi pesanti e indigesti si finisce per avere una pelle meno sana e più ricca di formazioni varie, con frequente presenza di pus, specie in certe zone del corpo. Inoltre per gli stessi motivi si tende anche ad avere una maggiore eliminazione intestinale. Troppo spesso si cerca di risolvere tutto questo nel più breve tempo possibile, come se si mettesse una serie di “tappi”.
Nell’ottica naturale alcune malattie non sono altro che il disperato tentativo dell’organismo di eliminare un carico tossico non più gestibile.
Tra l’altro la pelle, il nostro rivestimento esterno, deriva dallo stesso foglietto embrionale, l’ectoderma, da cui origina il sistema nervoso.
Questo fatto può in parte spiegare perché attraverso la pelle si manifestino spesso dei conflitti interni. Perciò la pelle può essere considerata come il luogo della superficializzazione, la valvola di sicurezza, sia delle tossine sia di certi conflitti psichici.
E d’altronde chi può separare nettamente in un organismo vivente le tossine psichiche da quelle chimiche?
Di norma, però, si tenta di far rientrare tutto nel più breve tempo possibile, senza porsi il problema del significato del sintomo né quello delle possibili conseguenze di simili operazioni soppressive.
Al contrario, l’omeopatia dice che non solo è importante rispettare i tentativi di disintossicazione fisiologica già in atto, ma che sia addirittura necessario favorirli con terapie naturali cosiddette di “drenaggio”.

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